sabato 13 aprile 2024

 «La prima metà della vita, che comprende, diciamo, i primi 35, 36 anni, è il periodo in cui di solito l’individuo si espande nel mondo. E’ come un corpo celeste che esplode, i cui frammenti si disperdono per lo spazio, coprendo distanze sempre più grandi. Allo stesso modo si espande il nostro orizzonte mentale: i desideri e le aspettative, l’ambizione, la voglia di conquistare il mondo e di vivere continuano a espandersi, finché non arriviamo alla metà della vita. Un uomo che dopo i quarant’anni non abbia raggiunto nella vita la posizione che aveva sognato cade facilmente preda di un senso di delusione. 


Di qui la straordinaria frequenza delle depressioni dopo i quarant’anni. Quella è una svolta decisiva; e quando si studia la produttività di grandi artisti, per esempio di Nietzsche, si scopre che spesso all’inizio della seconda metà della vita la loro creatività cambia i modi di espressione. Nietzsche, appunto, incominciò a scrivere Così parlò Zarathustra, che è la sua opera maggiore e si discosta nettamente da tutto ciò che aveva scritto prima e che avrebbe scritto in seguito, quando aveva tra i fra i trentasette e i trentotto anni. E’ quello il momento critico. 


Nella seconda metà della vitaci si comincia a interrogare. O meglio, no: si cerca di evitare tali interrogativi, ma qualcosa dentro di noi se li pone, e a noi non piace udire quella voce che chiede: “Qual’è la meta?”. E poi: E adesso, dove andrai?”. Da giovani si pensa, quando si raggiunge una data posizione: “E’ ciò che voglio”. La meta sembra essere sempre in vista. Si pensa: “Mi sposerò, e poi raggiungerò la tal posizione, e guadagnerò un mucchio di soldi, e poi chissà che altro”. Supponiamo che abbiamo raggiunto tutto questo, ecco che si presenta una nuova domanda. “E adesso?” Mi interessa davvero continuare così per sempre, fare per sempre la stessa cosa; o quello che vorrei è una meta meravigliosa e affascinante, come l’avevo da giovane?”. E la risposta è: “Ebbene davanti a me non c’è nulla. Che cosa c’è davanti a me? La morte”. 


Questo pensiero è increscioso, vedete; estremamente increscioso. Dunque sembra che la seconda metà della vita sia assolutamente priva di scopo. Ma voi sapete qual’è la risposta; da tempi immemorabili conosce la risposta: “Ebbene, la morte è una meta; il fine al quale guardiamo e per il quale lavoriamo”: Le religioni, le grandi religioni, sono sistemi volti a preparare la seconda metà della vita per il fine, la meta, propri di questa seconda parte dell’esistenza.


Una volta, con l’aiuto di amici, distribuii un questionario senza che si sapesse che ne ero io l’estensore. Mi era stata posta la domanda: “Perché la gente preferisce rivolgersi al medico anziché al prete per confessarsi?”. Io dubitavo che fosse poi vero che la gente preferisce rivolgersi a un medico, e volevo sapere che cosa avrebbe risposto il pubblico in generale. Per caso il questionario capitò nelle mani di un cinese, e la sua risposta fu: “Da giovane vado dal medico, da vecchio vado dal filosofo”. 


Ecco, vedete, questa risposta chiarisce bene la differenza: quando si è giovani, si vive nell’espansione, si conquista il mondo; quando si invecchia, si incomincia a riflettere.»


Carl Gustav Jung 

Jung parla. Interviste e incontri. pag 151


 

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