martedì 17 dicembre 2013

IL MANAGER E LA CRISI



Per fronteggiare la crisi, il manager non dev'essere uomo d’azione, ma bensì di trasform-azione

Il mondo occidentale fin dall'antica Grecia ha dato molta importanza all'agire, evidenziandone pure lo sforzo,  come se quest’ultimo elemento fosse la prova dell’efficacia del nostro agire, quest’idea è tanto radicata anche nella pedagogia di strada, riconoscibile con le frasi che noi tutti abbiamo più o meno ricevuto durante la primavera della nostra vita: “studia, fai uno sforzo” “se non ti sforzi non ottieni nulla” ecc… 
Così alla fine è passato il messaggio che tanta più fatica si fa per ottenere le cose tanto più saremo bravi ed efficaci. Ma sarà così per tutti? Fortunatamente no, infatti, esiste un mondo dove se mi sforzo per far qualcosa, sto facendo più fatica del dovuto, anzi, potrebbe anche darsi che io stia forzando un processo che non ne vuol sapere di andare nella direzione che io gli impongo, e che per quanto mi possa sforzare ed impegnare nell'azione non potrò mai ottenere i risultati desiderati.

Si immagini per un’attimo di essere un contadino, di essere in possesso di semi e aratro durante la stagione invernale, per quanto io mi possa impegnare, sforzare di lavorare nella semina, non otterrò nessun risultato perché nella semina conta si l’azione del contadino, ma conta ancora di più il lavoro della terra e della stagione, questi ultimi elementi sono fondamentali per la crescita dei germogli, il contadino non ha potere sul loro dipanarsi, potrà solamente, farsi accompagnare senza sforzo dall'inarrestabile processo naturale, nel quale siamo immersi.

Ovviamente il mondo a cui mi riferivo non è quello contadino ma all'oriente, alla Cina, al pensiero Taoista, che mette al centro del vivere anche in ambito manageriale, il cambiamento, la trasform-azione.
Il suo è un pensare “analogico” anziché “digitale”, preferisce il processo rispetto all'evento, che di per sé è solo la parte visibile di un continuum sempre gravido di un altro evento, non solo, ci dice chiaramente che “l’azione” (se efficace) è solo tempismo, su un processo già in divenire sponte sua.

Quindi per il manager di oggi, dove il mondo cambia in modo sempre più rapido e inaspettato, sarà provvidenziale applicare uno stile di trasform-azione,  pur non essendoci formule o modelli di riferimento, il suggerimento è quello di predisporsi alla vigilanza e all'osservazione dei fenomeni nascenti, imparando a leggere le crespature graduali e continue che prendono le situazioni in movimento e in trasformazione, via via che esse si dipanano.

Osservando con attenzione le nuove configurazioni che spiccano, assimilandole perché saranno loro a infondere al processo in modo silenzioso l’inedito ordine e la “via”, a cui si deve aggiungere l’evidente pre-disposizione ciclica della natura di mutare ogni risultato nel suo opposto continuamente.
Tutto è in transizione e nell'ombra del negativo e del declino spuntano sempre nuove iniziative e altre forze si ricompongono.

L’assenza di sforzo consiste semplicemente nel osservare e farsi accompagnare dal processo che è già in corso, come il surfista” che non può produrre l’onda, ma osservando attentamente può decidere quale scegliere in relazione al suo divenire, se l’onda è sul nascere, al culmine o al termine, e solo una volta cavalcata (con il giusto tempismo) allora potrà essere respons-abile e farsi accompagnare dal fenomeno, nel mondo manageriale (e non solo) verrà da se declinare e applicare l’analogia a qualunque fenomeno osservabile.

Per approfondire l’argomento rimando ai testi di Francois Jullien: “il trattato dell’efficacia” e                        “le trasformazioni silenziose”.

Oppure al corso: VINCERE SENZA COMBATTERE

L'IMPRENDITORE E LA MEDITAZIONE

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